Pubblicato da: rolandociofi | 23 giugno 2011

Ansia in seduta e difficoltà a guardare negli occhi il terapeuta a cura di Paolo Migone

Domanda
Sto facendo una psicoterapia cognitiva e tempo fa, dopo sei anni, ho interrotto una psicoanalisi freudiana perché l’analista alle spalle mi terrorizzava letteralmente. Ora, dopo quasi un anno, dall’inizio della nuova terapia, sto scoprendo che anche la relazione terapeutica faccia a faccia mi mette non solo a disagio, ma mi fa stare proprio male. Capogiri, sudorazione, affanno, senso di svenimento e claustrofobia. So bene di avere dei problemi, altrimenti non sarei costretta a rivolgermi ad un terapeuta, ma cosa posso fare per riuscire a rilassarmi e non costringere lui, puntualmente ad ogni seduta, a tranquillizzarmi e a convincermi che è dalla mia parte e che non mi vuole male? Così ho la sensazione di non cominciare mai una terapia vera e propria. Mi sembra di distrarre sempre l’attenzione su altro. Mi ha colpito molto il caso clinico raccontato da Paolo Migone sulla rivista Gli Argonauti (”L’uso del lettino in psicoanalisi: un esempio clinico”, http://www.argonauti.it/articoli/migone.htm). Solo che, a differenza della sua paziente, io sul lettino ci sono già stata e non ci tornerei per nessun motivo, però non sopporto neanche lo sguardo del mio terapeuta, o meglio, i miei occhi di cemento non riescono ad alzarsi su di lui. Vorrei interrompere, ma ho paura del vuoto che si creerebbe dopo. Continuo, ma vivo in terapia autentiche crisi di panico. Con lui provo vergogna e imbarazzo per questa situazione e mi spiace che pensi che io abbia un transfert negativo. Come ne esco? Mela
Risposta
Innanzitutto sei riuscita a dimostrare che non era quell’analista che ti metteva a disagio, ed è già qualcosa. Tu prima forse credevi che il problema era il fatto che il terapeuta fosse dietro di te, che non lo vedessi, mentre adesso puoi vedere il terapeuta negli occhi ed è la stessa cosa, anzi forse peggio. Adesso pensi che quello che ti mette a disagio è il fatto che vi guardate negli occhi (l’opposto di prima, quindi), ma, come puoi ben immaginare, potrebbe non essere affatto così, cioè potrebbe essere che cerchi di spiegarti la cosa come puoi ma, come per l’altra volta, potrebbe essere che sei a disagio per un altro motivo ancora non conosciuto (ad esempio: paura che emergano certi sentimenti o ricordi sgradevoli). Questo tuo esempio dimostra molto bene quello che volevo dire in quel mio articolo che tu citi, cioè che il lettino può non significare niente in se stesso, infatti nel tuo caso gli stessi sintomi sono stimolati dal rapporto faccia a faccia. Sono convinto anche che non centri niente il fatto che una terapia era ”psicoanalitica” e l’altra ”cognitiva”, la tua reazione è la stessa, ed entrambi i terapeuti si trovano di fronte alle stesse difficoltà.

Cosa puoi fare? Che aiuto ti si può dare, oltre a quello che immagino ti sta già dando il tuo terapeuta? La regola è sempre quella di analizzare attentamente le fantasie, le cognizioni, cioè quello che ti viene in mente, oltre a cercare di aiutarti delicatamente a resistere, a non interrompere la terapia, perché questo sarebbe un gettare la spugna e non cambiare il tuo problema. Una cosa che mi viene in mente riguardo alle fantasie che fai, alle cose che pensi quando parli di questo tuo sintomo, è questa: tu dici ”provo vergogna e imbarazzo per questa situazione e mi spiace che pensi che io abbia un transfert negativo”. Due domande a questo riguardo vorrei farti.

La prima è questa: perché provi ”vergogna e imbarazzo”? Il non saper guardare in faccia il tuo terapeuta non è forse il tuo sintomo, il sintomo per cui vai in terapia? E allora perché dovresti avere vergogna e imbarazzo? Tu, presentando il tuo sintomo, adempi perfettamente al tuo compito di paziente, non potresti fare diversamente. Perché non provi a pensare che il tuo imbarazzo è una cosa bella, per così dire un dono, un grande dono che tu fai al tuo terapeuta affinché lui possa lavorarci su? Se tu non lo avessi, depriveresti il terapeuta della possibilità di fare il suo lavoro. Quindi prova un po’, per così dire, a ”gioire” di questo tuo sintomo, anche se la cosa ti potrà sembrare paradossale.

La seconda domanda è questa: perché ritieni che il tuo terapeuta pensi che tu abbia un transfert negativo, e perché ti dispiace? Innanzitutto non è affatto dimostrato che lui pensi che tu abbia un transfert negativo. Te lo ha detto lui? Lo pensi tu? E poi cosa vuol dire ”transfert negativo”? Sei aggressiva con lui? Perché dovresti esserlo? Io avevo l’impressione che tu fossi solo in imbarazzo, non che ce l’avessi con lui. Magari è vero il contrario, cioè che hai un transfert molto positivo che ti evoca sentimenti importanti e sono questi quelli che mettono a disagio! Ma anche se tu ce l’avessi con lui, che male c’è? La terapia non serve forse a mettere in luce tutti i nostri sentimenti, per conoscerci meglio? In altre parole vale quello che ti dicevo prima, cioè tutto quello che tu provi o pensi in terapia è legittimo, va rispettato, valorizzato, accettato, al limite considerato – come dicevo prima – un dono che tu fai a te stessa e al terapeuta. La funzione della terapia (di qualunque terapia) è di mettere in luce qualcosa che poi noi possiamo vedere e analizzare assieme al terapeuta (è questo quello che gli psicoanalisti chiamano transfert, cioè qualcosa che viene riattivato dalla terapia, una reazione a volte imprevista che emerge, e che è spiegabile alla luce del nostro passato o del nostro inconscio).

A parte queste considerazioni, tu non dici se presenti questo disagio solo col terapeuta eppure anche in altre relazioni interpersonali, con amici più o meno intimi, con persone nuove che ti vengono presentate oppure se lo presenti anche con persone che conosci da tempo, o magari solo dopo un po’ di tempo che le conosci. Ti chiedo questo perché una delle cose a cui in questi casi si può pensare è che rapporto c’è tra il tuo problema e il ben noto quadro della ”fobia sociale”. Ma non è possibile approfondire qui questa problematica, e probabilmente l’avrai già affrontata col tuo terapeuta.

Per concludere, oserei dire, un po’ a mo’ di provocazione, che la cosa che mi colpisce di più non è il tuo panico di fronte al terapeuta (questo è un problema che può presentarsi, bisogna solo lavorarci su), ma il fatto che tu provi vergogna e imbarazzo per questa situazione e che ti spiaccia che il tuo terapeuta pensi che tu abbia un transfert negativo. Prima di lavorare sul tuo senso di panico in seduta, penso che dovresti riflettere attentamente su queste tue fantasie.

Grazie per aver parlato del tuo problema e per avermi dato la opportunità di fare queste riflessioni.
Risponde
Paolo Migone, Psichiatra, Psicoterapeuta
titolo: Ansia in seduta e difficoltà a guardare negli occhi il terapeuta
autore: Paolo Migone
richiedente: Mela, 45 anni
data di pubblicazione: 15/07/2002


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