Pubblicato da: rolandociofi | 23 agosto 2011

Masse, gruppi e psicologia fondamentalista di Manuela Barbarossa

Ho già avuto occasione di proporre alcune riflessioni in merito a Totem e tabù, che ritengo uno degli scritti più interessanti e profetici della produzione teorica freudiana. Nelle mie precedenti considerazioni (Barbarossa, 1999, pp. 95-99) avevo osservato come fosse possibile identificare nello studio condotto da Freud negli anni che vanno dal 1909 al 1913 relativo alla genesi della civiltà e delle produzioni religiose dello spirito, indicazioni a dir poco illuminanti per la comprensione della struttura psichica e pulsionale, sia individuale che collettiva.

Le tesi esposte nelle pagine di quel saggio – che lo stesso Ernest Jones considera essere stato concepito e scritto in un periodo di grande creatività e produttività intellettuale – assumono del resto un valore esplicativo non solo in merito ai fattori preindividuali costitutivi della convivenza civile, ma anche in merito alla genesi di alcune specifiche dinamiche relazionali e sociali. Dinamiche che rappresentano ancora oggi una sorta di “fondamento” speculativo rispetto al quale, le posteriori concezioni antropologiche freudiane – in modo particolare quelle concernenti il rapporto tra l’individuo e la comunità – appaiono in larga misura come un approfondimento tematico del loro carattere peculiare.

Uno dei concetti dominanti nello scritto di Freud che non sembra avere trovato la giusta considerazione nella letteratura psicologica post-freudiana, – in modo particolare in quella dedicatasi allo studio delle dinamiche di gruppo e dei fenomeni di massa, forse troppo impegnata nel recupero di nozioni psicologistiche piuttosto che nella valorizzazione delle categorie psicoanalitiche – è infatti quello concernente il “clan dei fratelli” e l’idea, ad esso correlata, che proprio l’origine della religiosità e delle produzioni religiose sarebbe “qualche cosa che appartiene al figlio” (Ernest Jones 1953, p. 427), e, dunque, all’ordine simbolico-edipico.

L’evento-passaggio epocale che Freud indica essersi obiettivato all’interno dell’orda primordiale, è infatti la conquista del potere da parte dei figli maschi adulti, ovvero la “messa in atto” del desiderio edipico di eliminazione del padre per prenderne il posto. Evento-passaggio che, nel suo determinarsi concretamente, libererà impulsi e fantasie persecutorie, sentimenti espiatori e di colpa, che daranno a loro volta vita a processi di differenziazione psichica e a forme di organizzazione sociale e comunitaria più complesse come quella del “clan dei fratelli”.

Si può del resto identificare proprio nella costituzione di questa prima forma di associazione paritaria e democratica, di cui Freud tratta esaurientemente nel capitolo dedicato all’analisi del totemismo, una originaria manifestazione di “gruppo giovanile”, una sorta di prefigurazione di quella psicologia collettiva che, trasversalmente, interessa e sostiene ogni forma di aggregazione intersoggettiva specifica e delimitata, retta da leggi e da divieti.

Ma Freud ci dice ancora qualche cosa di più.

Nel ripercorrere l’ipotesi dell’orda primordiale, sulla scorta della concezione darwiniana, l’autore di Totem e tabù osserva che i figli, scacciati dal padre dèspota, violento e geloso, si organizzarono in un primo momento in “bande” al fine di sopprimere il progenitore per prenderne il posto e poter così accedere al “regno della libertà” e avere nel contempo la possibilità di fruire di ciò che era stato loro antecedentemente proibito” (Barbarossa, 1999, p. 97).

In seguito, forse anche con l’intento primario di attuare un controllo al fine di evitare che gli stessi sentimenti di odio e di rivalità, che avevano spinto al parricidio, potessero riattivarsi all’interno della stessa banda, questa primitiva forma di “organizzazione collettiva” si evolve attraverso la fondazione di alcune “leggi morali” atte a governare sia le relazioni interne, che quelle con il mondo circostante. Leggi morali che affondano tuttavia le proprie radici nel vissuto della colpa promossa dall’atto violento del parricidio e dagli impulsi distruttivi liberatisi, ma anche dalla conseguente percezione di essere rimasti soli.

I passaggi simbolico-fattuali indicatici da Freud quali determinanti lo sviluppo della civiltà, mettono dunque in luce arcaiche forme di organizzazione sociale – la banda e il “clan dei fratelli” – che si differenziano tra loro in virtù del prevalere in una della volontà di dominio e della rivalsa, e nell’altro dell’espressione-rappresentazione ritualistica e della necessità di convivenza.

Non dimentichiamo infatti che il “clan dei fratelli” si costituisce a seguito del consumato parricidio, evento che farà emergere sentimenti di paura e di colpa, e che spingerà i figli a stabilire tutta una serie di proibizioni, di tabù e di relazioni regolamentate da leggi anche in funzione di un principio autoconservativo.

Mentre la “banda”, per sua natura e definizione, si costituisce attraverso un patto distruttivo di alleanza contro il padre, utilizzando al proprio interno una forma di pseudo-relazionalità primitiva ed arcaica connessa essenzialmente ai sentimenti di espulsione e di eliminazione dell’“altro”, percepito quale impedimento alla propria espansione, il “clan dei fratelli”, al contrario, si propone come un momento più evoluto di organizzazione collettiva, teso alla preservazione di sé e dell’altro.

I primitivi sentimenti di espulsione-eliminazione di colui che è percepito esclusivamente come limite ed ostacolo, presenti all’interno della “banda”, nel mutamento di organizzazione sociale, lasciano infatti il posto “all’ambivalenza”, ovvero a quella dialettica pulsionale di odio e amore che, pur nella sua limitatezza esperienziale, incarna e rappresenta una strutturazione psicologica più articolata, relazionale ed intersoggettiva, emergente nell’ambito del “clan dei fratelli” a seguito di un passaggio fondamentale: quello che dal fattuale conduce al simbolico.

Nel loro costituirsi quali eventi riparatori del parricidio, sia la costruzione di un totem – sostituto del padre – che l’istituzione di divieti e di interdizioni comportamentali, consentono l’accesso a sentimenti differenziati che, insieme, concorrono a produrre ex novo contenuti psichico-“spirituali” e dunque, forme di pensiero che allentano l’adesione massiccia al reale, ed introducono inibizioni e limiti.

Se, come ci ricorda Freud stesso, “in principio era l’Azione”, ciò che caratterizzava la costituzione e l’esistenza della banda, è dunque l’alleanza-distruttiva dei figli contro il padre. In seguito, il “clan dei fratelli”, sembra invece incarnare e proporre un principio relazionale maggiormente dialettico in virtù del quale il rapporto di causa-effetto e l’inferenza analogica di cui parla Scheler a sostegno del rapporto empatico, si frappongono tra l’impulso e l’azione.

Se si pensa alle “bande” teppistiche giovanili, ma anche a quelle poste in essere dagli stati totalitari, o alle “bande di squadristi” delle cui gesta la nostra storia non ci lesina i resoconti, simulacri moderni dell’orda primordiale, non si può non cogliere in questa primitiva e arcaica forma di organizzazione psichico-pulsionale e sociale, una costitutiva componente aggressivo-distruttiva rivolta contro l’altro, stigmatizzato come “nemico”.

Se, al contrario, si pensa a quelle forme di associazionismo di gruppo sostenute da una relazionalità empatica sia interna che esterna, non si può non vedere parimenti una similitudine con l’originario “clan dei fratelli”, all’interno del quale le componenti aggressive imboccano la strada della sublimazione e dell’espressione simbolica.

Alle due differenti “formule” associazionistiche che rintracciamo attraverso la lettura di Totem e tabù – quella della “banda” e quella del “clan dei fratelli” – fa eco, attraverso uno scarto laterale sia storico che strutturale, la “massa”, la quale, mettendo fuori gioco sia la forma dell’alleanza regressiva che connota la banda, che la relazionalità interna che caratterizza il clan dei fratelli, si propone come una forma ausiliaria di organizzazione “impersonale” che ci ricorda lo status assolutamente originario dei figli sottoposti alla legge del padre dèspota, che antecede il parricidio e la costituzione di qualsiasi gruppo.

Riferendoci allo scritto freudiano sulla psicologia delle masse (Freud, 1921) si può del resto osservare che i soggetti che formano la massa, attraverso il processo identificatorio, alienano la propria individualità a favore del “capo” – ovvero del padre simbolico – di colui che diviene l’oggetto del desiderio, tanto che il rapporto che sussiste tra i componenti di questo “insieme” è essenzialmente aleatorio, apparente, definito da una assenza di senso interno, di ragion d’essere intrinseca.

La “massa” esiste totalmente “fuori di sé”, in funzione di qualche cosa che non le appartiene, ma che è illusorio e, in quanto tale, è sostenuto esclusivamente da un processo di identificazione-proiezione immaginario.

La “banda” esiste in larga misura “fuori di sé”, ma in funzione di un progetto distruttivo costitutivo di un’alleanza interna, e dunque di una pseudo-relazionalità. Il “clan dei fratelli” esiste sia in sé e per sé, che “fuori di sé”, e tende pertanto a costruire forme di relazionalità diffuse e dinamiche tra l’interno e l’esterno. In questo contesto, il rapporto dei membri della “banda” con la coscienza di sé o autocoscienza, così come quello di coloro che costituiscono la massa è assente o quanto meno, inadeguato, poiché sia in un caso che nell’altro, il fondamento dell’esistenza della stessa banda o della massa è da ricercarsi sempre fuori, all’esterno, altrove.

La banda, costituendosi attraverso l’alleanza contro l’altro, la massa costituendosi attraverso un patto di alienazione di sé per l’altro. Al contrario, la relazione dei soggetti che costituiscono simbolicamente il “clan dei fratelli” è, per necessità, tesa a promuovere l’autocoscienza anche attraverso l’assunzione della colpa e del distacco dal padre, e dunque del “comprendere soggettivo” che passa attraverso l’esperienza del rito, dell’interdizione, del simbolico.

È innegabile che Freud, con la sua indagine sulla preistoria dell’umanità, giunge a dirci indirettamente qualche cosa di veramente rilevante sia relativamente allo sviluppo infantile-adolescenziale dell’individuo, connotato per definizione da una inconscia ricerca di forme sia fattuali che simboliche di relazione, che riguardo la sua strutturazione sociale indicandoci, nel contempo, la via da percorrere per giungere a comprendere, quanto meno nelle sue linee essenziali, anche quelle forme di espressione religiosa e non, che possiamo definire “fondamentaliste” e che animano individui e gruppi. E proprio il concetto di fondamentalismo, che connota atteggiamenti estremi di chiusura, di espulsione-eliminazione dell’“altro”, sembra mimeticamente riproporre la struttura psicologica e pulsionale della “banda”.

Nel suo rappresentare un rigetto di ciò che, con il suo solo “esserci” svolge una funzione di argine-limite nei riguardi del potere di un “gruppo” che rigidamente si propone tout court come detentore di verità ontologiche, il fondamentalismo è il travestimento ascetico-idealista della pulsione espulsivo-eliminatoria e del dominio.

Il “fondamentalista”, sia esso religioso, scientifico o ideologico tende infatti a costituirsi come il rappresentante di un insieme di individui, alleati tra loro, che nel rigetto e nell’eliminazione dell’altro, traggono la propria ragion d’essere.

Il gesto terroristico del fondamentalista religioso, se osservato da questa angolatura psicoanalitica, può essere infatti inteso quale emergenza di una struttura pulsionale primitiva che, mettendo fuori gioco il “clan dei fratelli”, e dunque misconoscendo la modalità relazionale che lo sostiene, abolisce l’ambivalenza, le inibizioni, la legge morale, riproponendo regressivamente “l’azione” quale momento “puro” e originario dell’essere, ed elevando l’odio a unico sentimento totalizzante.

In Totem e tabù, i figli, non dimentichiamolo, uccidono il padre costituendosi in banda, per accedere al regno del piacere, dell’esogamia, della totale libertà, per accedere dunque a quello stesso regno di piacere e di “beatitudine” che il terrorista suicida, è convinto di “guadagnarsi” attraverso il suo gesto estremo che elimina sé e l’altro.

Così come il fondamentalista “scientifico” è convinto di raggiungere il regno dell’elezione “divina” non ponendosi limiti nella ricerca, altrettanto estrema, nei confronti della natura, e che prevede anch’essa l’eliminazione dell’“altro”, ovvero della critica, della restrizione etica e di ogni vincolante remora morale.

Bibliografia

Barbarossa, M. (1999). Trascendenza, razionalizzazione, elaborazione. In M. Aletti e G. Rossi (Eds.), Ricerca di sé e trascendenza (pp. 95-99). Torino: Centro Scientifico Editore.

Freud, S. (1912-13). Totem e tabú. In Opere, Vol. 7 (pp. 7-164). Torino: Boringhieri, 1975.

Freud, S. (1921). Psicologia delle masse e analisi dell’Io. In Opere, Vol. 9 (pp. 261-330). Torino, Boringhieri, 1977.

Jones, E. (1953). The life and work of Sigmund Freud, 3 vols. New York: Basic Books. Trad. it. Vita e opere di Freud, 3 vv. Milano: Il Saggiatore, 1962.

Scheler, M. (1926). Probleme einer Soziologie des Wissens. Bern: Franke Verlag. Trad. it. Sociologia del sapere. Roma: Ed. Abete, 1976.

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titolo: Masse, gruppi e psicologia fondamentalista
autore: Manuela Barbarossa
argomento: Psicoanalisi
fonte: Vertici Network
data di pubblicazione: 17/10/2005


Risposte

  1. Interessantisimo il saggio di Manuela Barbarossa. Lo trovo molto acuto e originale. Complimenti. Luciano Enotera

  2. Trovo veramente acuto lo scritto di Manuela Barbarossa, perchè coglie indubbiamente aspetti fondamentali della relazione. Quello che scrive è molto attuale.
    Giuseppe

  3. Ho sentito anche un intervento di Manuela Barbarossa a Lombardia Channel dove riprendeva alcuni concetti del suo scritto, qui pubblicato , in particolare quello di alleanza in contrapposizione a quello di relazione: niente di più vero !!!! Soprattutto in un momento come quello attuale .
    Ci sono altri suoi scritti che potete segnalarmi ? Ho letto che è una psicoanalista di Milano ma si occupa anche di filosofia .
    grazie per le eventuali informazioni.
    Sara

  4. Io ho letto un suo breve saggio su Freud e Adorno, inserito nel libro ” Etica della Filosofia ” intitolato “Parlarne sempre non pensarci mai , Adorno interprete di Freud:”. Edizione MIMESIS.
    mI è PIACIUTO.
    Di lei so è anche la Presidente di AIVIS http://www.associazioneaivis.com e che fa il perito al Tribunale di Milano.

  5. Nel sito di Manuela Barbarossa http://www.manuelabarbarossa.com trovate delle sue riflessioni molto interessanti sui suicidi che stanno avvenendo in questi mesi a causa della crisi. Mi permetto di segnalarlo perchè secondo me si ricollegano in parte a queto suo scritto.
    Luciano

  6. Salve. Ho sentito un intervento a Radio Meneghina di Manuela Barbarossa, che ho trovato interessante. Allora ho cercato su internet e ho visto il suo scritto sulle masse. Veramente acuto e originale. Sarebbe bello che si organizzasse una conferenza, magari con Rolando Ciofi, sull’attuale situazione sociale e politica vista da loro. E’un’idea ?


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